Oratorio San Tiburzio

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L'edificio a pianta a croce greca è sormontato da un tiburio poligonale, che copre la cupola affrescata con l'Assunzione di Maria e i quattro evangelisti, opera di Giovanni Gaibazzi datata 1876-77, dipinti illuminati da quattro grandi lucernari aggiunti da Soncini. All'interno sono quattro statue allegoriche in gesso raffiguranti le virtù cardinali realizzate da Emilio Romanelli e Giovanni Chierici negli stessi anni. Ai medesimi scultori si devono anche le sei statue sulla facciata, scandita da due ordini di semicolonne: le virtù teologali Carità e Fede accanto all'ingresso e più in alto i santi Nicolò da Bari, Carlo Borromeo, Vincenzo De Paoli e Camillo de Lellis, scelti perché noti soprattutto come persone caritatevoli; queste ultime sculture sono oggi protette da involucri di legno in attesa di restauri. I capitelli risalgono invece all'edificazione settecentesca.

L'altare venne ricostruito dopo il 1882 con marmo di Carrara. Sempre dal Carrara vengono i marmi alle pareti e nel pavimento. Queste pietre sono testimoni della prima industrializzazione dell'Italia: la pietra fu tagliata dal primo stabilimento industriale di lavorazione del marmo in Italia, proprietà dell'inglese William Walton e giunse a Parma in treno, utilizzando la ferrovia costruita solo 20 anni prima.

San Tiburzio è legato ad una vicenda assai singolare: nel 1805, Napoleone Bonaparte lo confiscò assieme l'adiacente convento, ordinando alle monache di trasferirsi nel vicino convento delel Orsoline. L'oratorio venne sconsacrato e venduto e passò in mani diverse finché nel 1849 arrivò al maniscalco e veterinario Antonio Zimmerl, che ne fece luna stalla per cavalli ammalati, mentre l'officina per ferrare gli zoccoli era sul sagrato. Nel 1875, la Congregazione di Carità decise di acquistare San Tiburzio e restituirlo al culto, per dar seguito alla richiesta di un certo Marco Rossi Sidoli di Compiano, che le aveva lasciato in eredità il suo intero ricchissimo patrimonio (quasi un milione di lire, all'epoca una fortuna; per capirne il valore, basti ricordare che l'oratorio costò 13.000 lire e l'ex convento delle Convertite 47.000 lire), chiedendo però in cambio che gli fosse eretto un monumento.

Rossi Sidoli aveva costruito la sua fortuna esercitando il mestiere di usuraio, come già suo padre Giambattista, accumulando oro, gioielli, terre e moltissimi crediti, che di fatto gli fecero vivere una vita da signore medievale a Compiano. Secondo alcune voci riferite da uno storico locale, accettava anche favori di letto dalle giovani figlie dei suoi debitori al posto degli interessi. Forse per questo nel suo testamento dispose anche di donare ogni anno alle ragazze di Compiano e dintorni che si sposavano tutto il necessario per il letto di nozze.

La Congregazione incaricò allora lo scultore Agostino Ferrarini di realizzare il monumento chiesto dal donatore e comprò San Tiburzio per ospitarlo. Inizialmente, era stata presa in considerazione l'ipotesi di allargare l'oratorio della Congregazione, che si trovava a pochi metri di distanza, ma pur costando meno, questo progetto – definito nei dettagli dall'architetto Luigi Bettoli – avrebbe sconvolto la sede della Congregazione stessa.

Il monumento fu effettivamente realizzato ed installato in San Tiburzio: un insieme di marmi alto quasi sette metri e pesante 24 tonnellate, composto da allegorie della Carità (soccorso ai poveri) e della Pietà (soccorso agli infermi), Marco Rossi Sidoli sul letto di morte e in alto un Cristo risorto. Ma poi il Comune di Compiano fece ricorso perché l'opera venisse trasferita in Appennino e dopo alcuni anni di diatribe giuridiche venne disposto di smontare tutto, caricarlo su carri speciali appositamente costruiti e trainare il monumento fino a Compiano, un viaggio di 93 chilometri su strade sterrate, per essere rimontato nella chiesa parrocchiale di lassù. Oggi il monumento a Rossi Sidoli si trova ancora a Compiano, nel giardino della casa protetta per anziani che porta il suo nome.

L'oratorio di San Tiburzio rimase dunque privo dell'elemento decorativo che ne sarebbe dovuto diventare il fulcro. La Congregazione di Carità completò comunque il recupero dell'oratorio, aggiungendo, per restituirlo al culto dal 1885. Il progetto di Soncini fu però semplificato, eliminando la nuova porta che aveva prvisto sul lato sinistro e la costruzione di un coro dietro l'altare.

Di nuovo sconsacrato nel 1913 – quando la Congregazione di Carità divenne ente pubblico –, l'oratorio fu utilizzato come deposito della biblioteca Palatina. Passato poi per alcuni anni alla Diocesi al tempo del vescovo san Guido Maria Conforti, fu cappella universitaria, sede della Fuci e prima chiesa ortodossa in città. Tornato infine ad Asp Ad Personam, l'oratorio è oggi utilizzato per esposizioni e convegni.

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