L’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona denominata “ASP Azienda di Servizi alla persona del Distretto di Parma” è stata costituita con deliberazione della Giunta Regionale dell’Emilia Romagna n. 610 del 02/05/2007, a seguito di fusione e trasformazione delle I.P.A.B. “Istituti Riuniti di Assistenza per Inabili ed Anziani” (I.R.A.I.A.) e “Fondazione Maria Pini”, con sede in Parma.
ASP Parma è un’ azienda di diritto pubblico (ente pubblico non economico) dotata di personalità giuridica, di autonomia statutaria, gestionale, patrimoniale, contabile e finanziaria e non ha fini di lucro.
Per ricostruire la storia di ASP Parma è pertanto necessario ripercorrere la storia degli Enti ed Istituti da cui trae origine e precisamente:
- Fondazione Maria Pini;
- - Istituti Riuniti di Assistenza per Inabili e Anziani nati dalla fusione della “Congregazione S. Filippo Neri” e dell’”Istituto Mario Romanini”.
La Fondazione Maria Pini, eretta in Ente Morale nel 1970 con Decreto del Presidente della Repubblica n. 1357 del 28 dicembre, traeva origini dal testamento olografo, pubblicato con atto del Notaio Dr. Pietro Micheli in data 13 gennaio 1967 rep. 18449, con cui la Sig.na Maria Pini devolveva a favore della Fondazione un immobile urbano ed un podere, con l’onere testamentario di assistere a vita la Sig.na Patrizia Ferri, nipote della stessa Fondatrice.
La Fondazione aveva per scopo l’assistenza e la riabilitazione di persone affette da disabilità psichica, residenti nella provincia di Parma.
Le attività della Fondazione potevano essere costituite da:
a) Gestione di un centro socio-riabilitativo semiresidenziale per disabili di ambo i sessi con le caratteristiche strutturali e funzionali previste dalla normativa in vigore;
b) Prestazioni economiche dirette o indirette alle famiglie di disabili o agli stessi assistiti per interventi non previsti dai livelli di assistenza sanitaria o sociale pubblica;
c) Attività di vario genere, per far fronte a particolari esigenze e bisogni delle persone che si trovino nella situazione di disabilità psichica contingente o cronica.
Nell’anno 2007 è terminata la realizzazione della struttura di Via Casaburi a Parma dell’ex Fondazione M. Pini. Trattasi di un Centro Socio Riabilitativo destinato all’accoglienza residenziale e semiresidenziale di persone disabili.
Gli I.R.A.I.A. – Istituti Riuniti di Assistenza per Inabili e Anziani - vennero costituiti con Decreto 10 gennaio 1975 n. 31 del Presidente della Giunta della Regione Emilia Romagna dalla fusione dei due Enti Morali “Congregazione S. Filippo Neri” e “Istituto Mario Romanini”.
Scopo dell’Ente era quello “di contribuire alla tutela e valorizzazione delle persone anziane ed in particolare di quelle in stato di non autosufficienza fisica e/o psichica, nonchè persone adulte in condizioni di difficoltà, residenti nel Comune di Parma”.
Gli I.R.A.I.A. hanno sempre ricoperto un ruolo centrale nel sistema cittadino dei servizi assistenziali e socio-sanitari a favore della popolazione anziana, progettando e realizzando diverse tipologie di servizi in grado di soddisfare i bisogni complessi e sempre più differenziati di anziani della terza e quarta età.
Di seguito si vogliono ricordare le origini degli I.R.A.I.A. tracciando il profilo storico della “Congregazione S. Filippo Neri” e dell’”Istituto Mario Romanini”.
Congregazione della carità o di S. Filippo Neri
Nei primissimi anni del XVI secolo il frate francescano minore osservante Francesco da Meda, con l’appoggio del vescovo parmigiano Luca Cerati, ausiliario della diocesi di Parma, fonda la “Congregazione della carità”, con lo scopo di prestare la propria assistenza materiale e spirituale ai “bisognosi”.
La Congregazione, a seguito del decesso del suo fondatore, mancando di organizzazione e di sostegno, entra in uno stato di crisi, fino a quando, nel 1540, prese ad occuparsene il gesuita francese Pietro Favre (fra i primi seguaci di Ignazio da Loyola), giunto a Parma in quegli anni, che dette alla Congregazione le prime regole (“Capitoli e Ordini”), successivamente approvate, il 13 giugno 1565, da Monsignor Matteo Rinuccino, reggente la diocesi di Parma.
I “capitoli ed ordini” del 1540 si aprono con un “proemio”, cui seguivano le regole organizzative della Congregazione, a capo della quale veniva posto un “Ordinario”, eletto trimestralmente dall’Assemblea di tutti i confratelli (denominata “Congregazione Generale”), incaricato di rappresentare la Congregazione stessa, di dare esecuzione alle ordinazioni e di soprintendere alle “deputerie” e alle commissioni speciali. Lo assistevano due “Consultori”, uno laico e l’altro ecclesiastico (rispettivamente chiamati “di destra” e “di sinistra”), eletti con le medesime modalità e per lo stesso tempo.
Alla “Congregazione generale” (che come più sopra si è ricordato era l’Assemblea di tutti i confratelli) era demandata l’attività assistenziale e sanitaria. Nelle sue riunioni, che si celebravano di regola ogni domenica dopo il vespro, si deliberava sulle concessioni di sussidi e sulla somministrazione di medicamenti e si ascoltavano le proposte dei confratelli e le loro relazioni sull’attività svolta.
Alla “Congregazione segreta” (successivamente denominata “amministrativa”) spettavano i compiti più propriamente amministrativi e cioè la gestione ordinaria e straordinaria del patrimonio ed il reperimento e l’utilizzazione dei mezzi finanziari.
Facevano parte della “Congregazione segreta”, oltre all’Ordinario ed ai Consultori del trimestre di competenza, 9 membri eletti dalla Congregazione generale 18 deputati, metà laici e metà ecclesiastici, in carica per un biennio e rinnovantisi per metà ogni anno.
Per l’intera durata della carica i 18 deputati costituivano le “Deputerie”, di due membri ciascuna (sempre un ecclesiastico e un laico), preposte alle diverse attività e ai vari uffici della Congregazione (farmacia, archivio, fondi rustici, fabbriche di città, esazione, cassa capitali e depositi, pagamento, elemosine segrete, sussidi straordinari).
Altri compiti e altre figure ebbero invece le deputerie incaricate di svolgere opere dirette di assistenza, che cominciarono a sorgere da quando la semplice ripartizione occasionale del lavoro fra i confratelli si manifestò insufficiente agli scopi che si intendevano raggiungere: la città fu suddivisa pertanto in 8 quartieri e i quartieri a loro volta in circondari; in ogni circondario un deputato laico e un ecclesiastico, nel trimestre della loro carica, effettuavano visite settimanali agli infermi, iscrivendone i nomi in liste apposite e proponendo la concessione dell’assistenza e recando le elemosine settimanali, in attuazione delle decisioni della Congregazione, con il rilascio all’infermo o al bisognoso di uno speciale documento (denominato “il santo”).
Formavano una categoria a parte gli assistiti cronici, i miserabili, le lattanti, le puerpere, le madri di gemelli: per questi si rinnovavano ogni trimestre quattro apposite deputerie, ciascuna per una corrispondente sezione della città.
Le regole imponevano poi (al capitolo VI, intitolato “Del modo di proponere e trattare delle cose della Congregatione”) che “prima, per mostrare che si faccia alcuna cosa o si dica, sia detta o fatta in nome del signore Iddio, si dica:
“Benedictus Deus””.
Ed infatti il simbolo della Congregazione, che appariva su ogni atto, mobile od immobile di proprietà della stessa recava il simbolo “B+D”. Solo successivamente fu adottato come simbolo distintivo il Pellicano che nutre i suoi piccoli. Anticamente, infatti si riteneva che il pellicano, per nutrire i suoi piccoli, si staccasse pezzi della sua stessa carne. Massimo segno di carità ed altruismo.
Nel capitolo XII si precisava poi che “il principale intento e per il più sicuro e stabile fondamento di questa Congregatione (era) il sovenire a poveri infermi e carcerati”. Alcuni anni dopo il 1622, anno della canonizzazione di San Filippo Neri, i confratelli maturarono la decisione di intitolare la Congregazione al Santo della povertà e della beneficenza.
Nel frattempo la Congregazione acquistava sempre più seguito ed autorevolezza nell’ambito cittadino e ampliava così il proprio raggio d’azione. Già con un’ordinazione del 1540 la Congregazione impegnava i confratelli a visitare in ogni festività i ricoverati dell’”Ospedale della Misericordia”; un’altra del 22 gennaio 1548 dava inizio alle visite domiciliari agli ammalati; con l’ordinazione 6 gennaio 1572 cominciano le somministrazioni di medicinali, sempre più diffuse e incrementate in avvenire.
Agli albori del XVII secolo si dava vita ad un vero servizio farmaceutico, fino alla fondazione e gestione (nel 1670) di una farmacia.
Infine, dal 1760, l’opera sanitaria, in antecedenza prestata da confratelli medici, per gli accresciuti impegni doveva essere affidata anche a medici stipendiati.
Nelle costituzioni approvate dalla “Congregazione” il 20 luglio 1767, - regnante Ferdinando di Borbone - si disciplinava specificamente (al capitolo IX) la “somministrazione de’ medicinali ed unguenti”.
L’autorevolezza della Congregazione di S. Filippo Neri era a tal punto cresciuta nella città di Parma che, avendo Napoleone – come noto – deciso la soppressione di pressoché tutte le istituzioni di origine ecclesiastica, con decreto 14 febbraio 1806, stabiliva: “La congrègation rèligeuse de la Charitè moitiè laique et moitiè ecclesiastique, chargèe de la distributin des secorus à domicile est autorisèe. Elle est placèe sour la direction et surveillaince de l’Evèque Diocesain”.
Nel 1836 Maria Luigia decretava la medaglia d’oro per i benemeriti della sanità pubblica alla Congregazione di S. Filippo Neri, in occasione dell’opera dalla stessa prestata per l’epidemia di colera che colpì quell’anno Parma. Ed ugualmente fu importantissima l’opera di assistenza prestata dalla Congregazione nelle due successive epidemie del 1849 e 1855; in occasione della carestia del 1817 e dell’inondazione del torrente Parma nel settembre 1868.
Ed ancora nel 1859, in occasione della 2^ guerra di indipendenza, la Congregazione si obbligava a mantenere 30 letti nell’impianto di un nuovo ospedale, per i volontari feriti in guerra e faceva un’offerta straordinaria al Comitato di soccorso per le famiglie dei feriti combattenti.
Oltre agli interventi più propriamente statutari e cioè le elemosine ai poveri ammalati, ai poveri cronici ed alle madri di gemelli lattanti (di cui già si è detto), distribuiti dalle apposite deputerie, venivano erogati sussidi a famiglie povere di condizione civile, a zitelle abbandonate, a vedove, a pupilli; un sussidio annuale a 50 poveri vecchi d’oltre 65 anni, estratti a sorte tra i ricorrenti ammessi al concorso; un sussidio annuale a 20 poveri padri di famiglia di oltre 72 anni, un sussidio semestrale a “indoratori” con famiglia e mancanti di lavoro ed inoltre doti a zitelle povere delle parrocchie di S. Quintino e Santa Cristina; a figlie di mercanti, sarti e tessitori di sete; alunnati in case di educazione (nel conservatorio delle Vincenzine; nel conservatorio delle Luigine; nel collegio delle Orsoline; nel seminario di Bedonia) ed inoltre venivano spese notevoli somme per la cura gratuita dei poveri infermi, corrispondendo un onorario annuo a 8 medici e 8 chirurghi ordinari e a 3 medici e 3 chirurghi straordinari; gli stipendi agli impiegati e ai serventi della farmacia ed altre consistenti spese per l’erogazione di medicinali, spese di laboratorio ed apparecchi chirurgici.
Tali erogazioni erano rese possibili dalla circostanza che, con il crescere della presenza e dell’autorevolezza dell’Istituzione nell’ambito cittadino, la Congregazione riceveva numerose donazioni, legati e disposizioni testamentarie da cittadini abbienti, ampliando via via il proprio patrimonio.
A seguito del plebiscito di adesione del Ducato di Parma al Regno d’Italia e della successiva approvazione di leggi per la regolamentazione delle Opere Pie, cominciarono a sorgere problemi di natura politica e contrasti tra la Congregazione e le autorità civili ed amministrative della città.
Poco dopo la costituzione del Regno d’Italia, il 23 maggio 1863, il Consiglio Comunale (allora presieduto dal sindaco dott. Marcello Costamezzana) votò all’unanimità una delibera per la riforma dell’ordinamento della Congregazione amministrativa di S. Filippo Neri, asserendo che la sua regolamentazione non fosse conforme alla legge, recentemente approvata il 3/8/1862, sulle opere pie.
Malgrado tale voto ed il voto pressoché conforme dell’11 luglio 1863 della Deputazione Provinciale di Parma, presieduta dal prefetto, la situazione rimase, dal punto di vista organizzativo e statutario immutata per un ulteriore quarantennio.
Nel 1903 riprese però ancor più vivacemente la polemica tra l’Amministrazione Comunale di Parma e la Deputazione Amministrativa da una parte e la Congregazione S. Filippo Neri ed il Vescovo dall’altra.
Si sosteneva, in sostanza, da parte delle Amministrazioni locali, che vi fosse un inaccettabile connubio fra i fini religiosi, posti nelle regole (di cui si è parlato) ed i fini di tipo pubblicistico della Congregazione stessa e che fosse quindi necessario distinguere fra la “Confraternita o Unione di S. Filippo Neri”, considerata come sodalizio religioso, e quindi sottoposta all’autorità ecclesiastica, e l’Istituzione Pubblica di beneficenza che doveva essere sottoposta esclusivamente alla potestà civile.
Da qui la necessità che la Congregazione si desse uno statuto di contenuto esclusivamente giuridico e che i membri del Consiglio di Amministrazionedell’opera pia fossero nominati esclusivamente, o quanto meno in prevalenza, dalla medesima Amministrazione Comunale.
La combattuta querelle si concludeva quindi con il R.D. 13 marzo 1904 (firmato dall’allora Ministro dell’Interno Giolitti) con il quale la Congregazione veniva eletta in Ente morale avente lo scopo di fornire assistenza sanitaria e generica a poveri infermi, e di erogare i redditi di assi amministrati per il ricovero di anziani e inabili dell’Istituto Mario Romanini e veniva approvato lo “Statuto Organico” che stabiliva, in sostanza (dopo aver dato atto all’art. 1 che “La Congregazione di S. Filippo Neri, detta della Carità, con sede in Parma, è un’Istituzione Pubblica di beneficenza a sollievo più specialmente degli infermi poveri, abitanti entro le mura della città di Parma”), un compromesso fra le due contrapposte posizioni, prevedendo che l’Istituto fosse amministrato da un consiglio composto da 9 membri, di cui 4 eletti dalla Congregazione, altri 4 da parte del Consiglio Comunale ed il Presidente dal Governo.
Superata tale crisi istituzionale e ristabiliti normali rapporti con la municipalità, la Congregazione continuava la propria opera e veniva sempre più indirizzata verso l’assistenza medica e, soprattutto, farmaceutica.
Nell’anno 1913 veniva istituita una seconda farmacia, avente il carattere di succursale, nell’oltretorrente per la popolazione di quella zona: nello stesso edificio trovavano sede l’ambulatorio “Giovanni Inzani” e un dispensario antitubercolare.
Dal luglio 1921 detta succursale venne chiusa e rimase aperta l’antica farmacia.
Nel settembre 1966 la farmacia fu trasferita in via Cavour (successivamente - nel 2005 - gli IRAIA hanno trasferito la farmacia in località San Pancrazio e in data 31/12/2010 l’attuale Azienda ASP Parma ha proceduto alla sua alienazione).
Nell’anno 1906 era stata istituita l’assistenza baliatica e materna; nel 1913 la Guardia medica notturna.
Il numero dei poveri assistiti, da parte della Congregazione per quanto concerne l’assistenza sanitaria e farmaceutica, è particolarmente significativo:
- nel decennio 1910/19 n.22.358 cittadini;
- nel decennio 1920/29 n.15.228 cittadini;
- nel decennio 1930/39 n.18.816 cittadini;
- nel decennio 1940/42 n.16.942 cittadini;
- nel decennio 1950/59 n.8.221 cittadini;
- nel decennio 1960/69 n.3.464 cittadini.
Come si vede, quindi, già nel primo dopoguerra, a seguito dell’introduzione delle prime forme mutualistiche ed assistenziali pubbliche, il numero degli assistiti viene a calare, venendo poi, nel secondo dopoguerra, sostanzialmente meno le funzioni dell’Ente in tal senso, a seguito della istituzione del servizio sanitario nazionale, che avrebbe dovuto assicurare l’assistenza a tutti i cittadini.
Anche per questo, nel 1975, fu decisa la fusione della “Congregazione S. Filippo Neri” con l’”Istituto Mario Romanini” e la conseguente nascita degli I.R.A.I.A.
Istituto Mario Romanini
In vista del Carnevale del 1891 il Dott. Giuseppe Gardelli, titolare della Farmacia di Via Massimo D’Azeglio (come si legge in un articolo all’epoca pubblicato sul quotidiano locale), lancia l’idea di “fondere o federare tutte o molte delle società cittadine allo scopo di raccogliere denaro col quale fare della beneficenza immediata, subito, e con la rimanenza formare un fondo, intorno al quale anche per atti benefici successivi venisse ad accumularsi un capitale che parrebbe destinato ad altre opere di beneficenza”, tra le quali, in primis, “di fondare un dormitorio per vecchi poveri: idea filantropica alla quale la cittadinanza parmigiana che ha cuore d’oro non può mancare di sottoscriversi in massa.”
Avvia l’iniziativa un gruppo di 6 società, al quale si aggiungono gli studenti ed altri cittadini e viene quindi costituito il “Comitato pei divertimenti carnevaleschi”, che emette azioni, sottoscritte, fra l’altro, dal Marchese Carrega e dal Prefetto di Parma.
Passato il Carnevale, il Comitato, tirando le somme, registra un’entrata complessiva di L. 6.491,19, di cui L. 500 vengono destinate come fondo, intorno al quale, con offerte successive, sia reso possibile realizzare un “dormitorio per i vecchi impotenti”.
Alla fine dello stesso anno, il 7 dicembre, la Gazzetta di Parma comunica esultante: “A quanto venne stabilito ieri il dormitorio dei vecchi sarà un fatto compiuto”.
Il comunicato proseguiva invitando la cittadinanza a continuare ad inviare offerte in denaro, indumenti e biancheria, nonchè a visitare i locali destinati a dormitorio, in Borgo S. Spirito 37.
La sera di S. Stefano l’apposita “Commissione” (integrata da 3 medici) esaminava, in base ad un regolamento appositamente predisposto, le domande pervenute ed i richiedenti di persona. L’apertura, fissata per il 1 gennaio 1892, veniva poi anticipata al precedente 31 dicembre.
Particolare importanza per la storia dei primi anni di vita dell’Istituto hanno le relazioni annuali del Conte Luigi Sanvitale Simonetta, prima segretario e poi presidente del “Ricovero dei vecchi”.
Uno dei primi problemi che ci si pone è quello della limitatezza dei posti disponibili, rispetto alle aspettative createsi e alle molte richieste avanzate. Si decide, quindi, di dare la preferenza ai soggetti di età più avanzata e di dare aiuto a quanti – come scrive il Conte Sanvitale – “si trovano in bisogno per cause indipendenti da loro colpa e che consacrarono la loro vita al lavoro. Così la maggior parte dei ricoverati appartiene ai mestieri e alle arti più faticose come quella del falegname, del facchino, del giornaliere, del macellaio, del muratore, del cuoco”.
Vi è poi un ulteriore ed ancor più grave problema che è quello di trasformare il dormitorio in ricovero, per evitare che gli ospiti, per procurarsi gli alimenti, ricorrano all’accattonaggio. Naturalmente per questa trasformazione il maggior ostacolo è quello delle risorse economiche.
Dalla relazione del 1912 emerge che gli ospiti erano 60, tutti ultrasessantenni (38 maschi e 22 femmine); i soci tra fondatori, benemeriti e contribuenti erano 91 e la spesa che l’Istituto affrontava era, complessivamente, di circa L.2.500 annue.
Rimane in sospeso un grave problema che è quello del riconoscimento giuridico dell’Istituto, che permetterebbe non solo la possibilità di utilizzare, ma altresì di ricevere in donazione gli immobili messi a disposizione dalla Cassa di Risparmio e dall’Ordine Mauriziano ed inoltre lasciti e legati.
Il progetto di nuovo statuto, in vista dell’erezione del ricovero in Ente morale fissa quattro requisiti per i ricoverandi: “1° - abbiano compiuto l’età di 60 anni; 2°- provino la residenza decennale nel comune di Parma; 3°- siano inabili al lavoro e privi di congiunti in obbligo ed in grado di alimentarli; 4° - abbiano tenuto e tengano condotta incensurabile”.
Nel 1909 la situazione finanziaria migliora ulteriormente, anche per l’ingresso di nuovi soci contribuenti (tra i benefattori figura anche il nuovo Vescovo di Parma, Mons. Guido Maria Conforti) che arrivano ad essere 1063; dal canto suo la Cassa di Risparmio ha già deliberato la donazione di altre due case contigue a quelle occupate dal “ricovero”.
Intanto la sezione maschile (e presto avverrà anche in quella femminile) si arricchisce di un’infermeria “per la cura dei vecchi afflitti da indisposizioni non gravi”. Poco prima dell’ingresso dell’Italia in guerra, il 21 marzo 1915, arriva la attesa erezione ad Ente Morale. Gli eventi bellici incidono, sia pure indirettamente, sulla denominazione generica del “Ricovero dei vecchi”.
Il 17 ottobre 1917 Mario Romanini, allievo ufficiale aviatore, mentre nel cielo di Cameri (in Provincia di Novara) si addestrava al volo, cade con il suo aereo e muore. Nel dicembre dello stesso anno il fratello maggiore Giuseppe, mentre si trova a Schio come ufficiale, nel tumulto della guerra, scrive il proprio testamento a favore del “Ricovero”.
Terminata la guerra, ritorna incolume, ma la morte lo coglie poco dopo, nel febbraio del 1920. E da quel momento il ricovero, per volontà del testatore, assume il nome di “Mario Romanini”. Ai due fratelli vengono dedicati due busti, opera dello scultore Alessandro Marzaroli, ed una lapide, posti nei locali di Via della Salute, inaugurati nel luglio 1925.
Secondo quanto emerge da un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Piccolo di Parma”, nel 1924 i ricoverati nell’Istituto erano 94 (di cui 34 donne e 60 uomini), 44 direttamente a carico del ricovero, 24 del Comune di Parma e 26 della Congregazione di Carità San Filippo Neri. L’età media si aggirava attorno ai 75 anni.
Nel 1932 i ricoverati salgono ad oltre 160.
Durante la seconda guerra mondiale i ricoverati raggiungono il numero di 210.
Nel 1957, infine, viene inaugurata una nuova struttura (il pensionato “Gulli”), destinato ad assistere, secondo le parole dell’allora Presidente dell’Istituto, Avv. Michelangelo Rizzi, “persone finanziariamente decadute o piccoli pensionati che, dopo una vita di lavoro, dispongono di mezzi troppo scarsi; il pensionato può dare loro ospitalità con una modesta retta in ambienti eleganti ed estremamente confortevoli”.